Il Basso Continuo nel XVII secolo. Cap. 1 La pratica del basso continuo, ossia l’arte di eseguire l’accompagnamento di una composizione (vocale e/o strumentale, a una o più voci) si diffonde verso la fine del XVI secolo. La nascita del basso continuo fa capo a due diverse pratiche esecutive che si sviluppano parallelamente e che confluiscono in una vera e propria arte dell’accompagnamento che matura all’inizio del ‘600. 1. Nell’ambito della musica sacra gli organisti che accompagnavano i complessi vocali usavano realizzare una parte di sostegno armonico e ritmico alla composizione. La musica polifonica era scritta in parti separate e normalmente l’organista doveva preparare una partitura per poter accompagnare le parti. La nuova invenzione fu quella di suonare a partire dalla voce più grave realizzando lo scheletro armonico della composizione e accompagnando le entrate principali. Una sorta di partitura sintetizzata dunque, in cui la numerica del basso suggeriva l’armonizzazione necessaria. 2. Nell’ambito della musica profana il canto solistico accompagnato da uno strumento a corde o a tastiera era stato sempre praticato durante il XVI secolo. Frottole, canzoni, madrigali venivano eseguiti, oltre che nella versione polifonica a più voci, a canto solo con accompagnamento strumentale. La trasposizione delle voci sullo strumento portava necessariamente ad risultato più ‘armonico’, accordale.
Nel nostro corso abbiamo affrontato il basso continuo dal punto di vista 2. Con l’affermarsi del gusto barocco la tendenza verso uno stile più armonico diventa sempre più forte. La musica vocale solistica si divide in due correnti. Quella dello stile recitativo e quella più leggera che va dalla villanella all’aria (strofica, di carattere più melodico, spesso in tempo di danza). Nello stesso tempo si diffondono strumenti quali la chitarra spagnola e la tiorba che privilegiano l’aspetto armonico (accompagnamento semplice, ad accordi) rispetto a quello più contrappuntistico del passato. Entrambe queste correnti utilizzano il basso continuo come sostegno della composizione. Dal punto di vista della struttura della composizione, un brano solistico è costituto dalla parte melodica sovrapposta ad una linea di basso: questa linea di solito ha una struttura più semplice rispetto alla parte solistica e si muove per valori più grandi. Compito dell’esecutore è quello di riempire armonicamente lo spazio sonoro compreso tra il basso e il soprano, realizzando le cosiddette ‘parti di mezzo’: cioè una versione strumentale delle parti contrappuntistiche interne. Tale realizzazione poteva essere molto semplice ma anche elaborata contrappuntisticamente, secondo la perizia dell’esecutore, della destinazione del brano e dello strumento utilizzato. Al fine di arrivare ad un risultato artistico al continuista era comunque richiesta la conoscenza delle basi teoriche della musica e delle regole del contrappunto. Tuttavia in ambito meno impegnato si mettevano in pratica metodologie più ‘leggere’, accessibili anche a chi non conosceva la musica. L’accompagnamento ad accordi realizzato sulla chitarra alla spagnola ne è un esempio evidente.
Gli inizi del basso continuo Le prime tracce concrete del basso continuo si trovano nel repertorio policorale sacro di cui si è detto al punto (1). La prima parte stampata di basso continuo: Giovanni Croce, Mottetti a otto voci, Venezia 1594. Nei Cento Concerti Ecclesiastici di Tommaso Grossi da Viadana (1602) si trova la prima menzione del termine ‘basso continuo’. Tuttavia nell’ambito della musica sacra la pratica di suonare dal basso non si affermò subito perché molti musicisti ritenevano più affidale musicalmente suonare dalla partitura. Il più importante musicista tedesco del primo ‘600. Heinrich Schütz, avverte nella prefazione delle sue Cantiones Sacrae del 1620 che ha sì inserito una parte di basso continuo ma che per “soddisfare orecchie più raffinate” è bene suonare dalla partitura. Si delineano dunque due maniere diverse di realizzare il basso continuo, che si rifanno ai due punti sopra descritti. La prima è contrappuntistica e si serve della partitura come base della realizzazione. È evidente che questa tipologia consentiva all’organista di agire anche come direttore musicale della composizione, segnalando le entrate delle voci e sostenendone l’intonazione raddoppiandole. Pratica utilizzata specialmente per gruppi di grandi dimensioni ma non solo. Esiste una letteratura di musica vocale con accompagnamento di strumento a tastiera o liuto in cui l’accompagnamento coincide con la partitura o l’intavolatura delle parti. L’esempio più notevole è l’opera di Luzzasco Luzzaschi dedicata alle Dame di Ferrara: Madrigali … per cantare et sonare a uno, e doi, e tre soprani (Rome, 1601). Questa modalità può tuttavia essere considerata come un residuo del rinascimento e ben presto scompare in favore La seconda era utilizzata sia in ambito polifonico sia in ambito solistico: nel primo caso si basava su una realizzazione più sintetica delle parti, limitandosi a sottolineare l’entrata delle voci con la tecnica del basso seguente, in cui l’organo fonda la sua parte sulla voce al momento più bassa: se tace il basso suona il tenore, se tacciono tenore e basso suona l’alto e così via, in modo da non lasciare mai solo il gruppo vocale. parti di mezzo e parte indipendente Il basso continuo nel repertorio monodico del primo ‘600 In ambito di canto solistico la realizzazione del basso continuo è sempre più orientata verso lo stile monodico che si sviluppa a partire dall’inizio del ‘600. In questo campo va incluso oltre all’effettivo repertorio a voce sola e basso continuo anche quello a due e più voci fino al madrigale concertato con basso continuo. Anche qui la realizzazione dell’accompagnamento si muove tra una posizione di partenza basata sulla concezione contrappuntistica ad una realizzazione più libera. Considerando il caso più semplice, un brano a voce sola, la linea del basso fa da contrappunto al canto solistico. Il rapporto tra canto e basso può essere molteplice. Si va dallo stile recitativo dove alla scrittura declamatoria del canto corrisponde un basso molto semplice a valori lunghi che sostengono la libera espressione del testo senza creare interferenze ritmiche e armoniche. Ad una forma intermedia, di tipo più ‘madrigalistico’, dove si alternano momenti più vicini al recitativo ad altri in cui il basso si muove insieme al canto. Ad una forma più stretta, in cui il basso si muove per lo più insieme al canto: questa tipologia è impiegata in brani ariosi più leggeri, anche in forma di danza.
In tutto ciò il continuista, oltre a suonare la parte del basso realizza quelle che Caccini chiama ‘le parti di mezzo’, cioè ciò che manca in termini di contrappunto per riempire lo spazio sonoro tra canto e basso. I monodisti sono dunque tra i primi a includere il basso continuo nelle loro opere, fin dal primo ‘600. Tuttavia, trattandosi di opere musicali e non teoriche, si limitano a fornire le indicazioni minime sul significato dei simboli del basso continuo piuttosto che informazioni utili alla sua realizzazione. Inoltre occorre considerare che la realizzazione del basso continuo del repertorio monodico poteva essere affidata a più strumenti: clavicembalo, organo, liuto, tiorba, arpa, chitarra alla spagnola. E che ognuno di questi strumenti aveva le sue peculiarità e, in alcuni casi i suoi limiti, che potevano essere conosciuti solo da chi li praticava. La notazione ‘neutra’ del basso continuo costituiva dunque il punto di partenza per molteplici soluzioni esecutive. Appare in ogni caso chiaro, dalle evidenze lasciate nelle prefazioni delle opere dei monodisti, ma anche dalla modalità di cifratura del basso, che il continuista del primo ‘600 tendeva con la sua realizzazione a ricostruire ‘le parti di mezzo’, cioè le voci ‘mancanti’ tra basso e soprano. Lo strumento di accompagnamento doveva dunque porgere all’orecchio dell’ascoltatore (comunque abituato ad una sonorità madrigalistica) il ricordo di una esecuzione polifonica. Tale idea è evidente nei brani delle Nuove Musiche di Giulio Caccini, dove la cifratura del basso è molto dettagliata. Il diesis per la terza maggiore; il bemolle per la terza minore. Il diesis accanto al 6 per la sesta maggiore e così via. Conformemente all’uso dell’epoca tutte queste alterazioni valgono solo per la nota cui sono sottoposte. Inoltre Caccini usa spezzare una figura in più valori legati tra loro, ognuno con la sua cifra, in modo da segnalare in quale esatto punto va messa la consonanza o dissonanza richiesta. Ad un attento esame appare chiaro che Caccini segnala le consonanze da aggiungere evitando di raddoppiare quelle del canto. Se il canto esegue la terza maggiore il basso non ha il segno di diesis. Se il canto in fase cadenzale realizza un ritardo (4-3 o 7-6) la parte di continuo non avrà queste cifre. al contrario, quando il canto si muove su altre voci la parte di continuo richiede i ritardi, in modo da completare la tessitura polifonica. Che questa scrittura venisse messa in pratica è dimostrato da alcune intavolature di brani di Caccini per canto e liuto. In esse la cifratura di Caccini è rispettata alla lettera. Ci troviamo dunque di fronte ad una concezione ancora contrappuntistica del basso continuo. Che col passare del tempo sparirà in favore di una realizzazione più ricca e libera, dove l’accompagnamento raddoppia anche le dissonanze realizzate dal cantante.
Nell’esempio seguente: il mi a b.1 non ha il segno di terza maggiore perché sta nel canto. La cadenza di b.5 è non ha il segno di terza maggiore perché sta nel canto. Invece le cadenze di b.4 e b.9 indicano il ritardo perché il canto si muove diversamente. Notare anche in queste due ultime cadenze come il basso sia spezzato in due minime legate, per indicare dove mettere la cifra.
5
9
L’esempio seguente mostra un’aria, sempre di Caccini, in stile reciattivo vero e proprio. Qui il basso è spesso fermo. Diverse indicazioni da parte dei monodisti dicono che la parte del continuo non deve interferire con le dissonanze che si creano, all’interno delle battute, tra canto e basso.
L’esempio seguente mostra, sempre di Caccini, un’ aria strofica dove il basso si muove insieme al canto.